Autenticità nel 2021

LA PLASTICITÀ DEL SÉ

Il dizionario Mirriam-Webster definisce l’”autenticità” come: essere “fedele alla propria personalità, spirito o carattere”. Quindi, potremmo dire, essere fedeli al nostro “io” … ma quale “io”?

Possiamo pensare di conoscere noi stessi, di essere l’incontro di una serie di tratti e valori che ci definiscono in modo piuttosto netto. Ma pensiamo per un momento a come il nostro atteggiamento cambia in base ai diversi ruoli che impersoniamo ogni giorno: come genitori, figli, fratelli e sorelle, amanti, amici, dipendenti, dirigenti… non sono tutte queste declinazioni del nostro “io”? Non ci adattiamo e rispondiamo forse a ciò che incontriamo nella nostra esperienza, con seppur lievi modifiche del nostro modo di essere?

Ogni esperienza ci tocca e fa emergere tratti della nostra personalità che a volte neanche sappiamo di avere. L’età e la maturità illuminano angoli del nostro carattere e nutrono valori che non avevamo considerato importanti o prioritari solo pochi anni prima. Il nostro cuore si apre e si contrae a seconda dell’amore o del dolore che lo tocca. E non fa tutto questo parte del nostro “io”?

Da questa prospettiva, dunque, ci chiediamo: l’Autenticità può essere intesa come la capacità di accettare la qualità dinamica di tutto ciò che siamo, scegliendo cosa offrire di noi stessi e come offrirlo di volta in volta?

INIZIAMO CON L’ACCETTAZIONE

“Accettare” è tanto facile da dire quanto difficile da mettere in pratica. Per la maggior parte, non ci siamo abituati. Siamo invece abituati a giudicare, separare, analizzare e sezionare noi stessi, con la spiacevole conseguenza di renderci le cose estremamente difficili e cariche di aspettative su cosa dovremmo essere, fare, ottenere. Non solo, il più delle volte, perseguiamo queste mete in nome di uno standard molto netto e rigido in cui cerchiamo di calzare.

Ebbene, se il 2020 e i primi mesi del 2021 ci insegnano qualcosa, è che il concetto di “standard” non è più applicabile e che certezze e categorie sono tutte messe in discussione. Liberi da questa imposizione allora, che ne dite di iniziare a lasciarci un po’ stare e a rilassarci in qualunque esperienza del nostro io stiamo vivendo nell’immediato, almeno per qualche minuto? E poi provare a rendere questi minuti ore, giorni, mesi … magari farli diventare un’abitudine?

Potrebbe valere la pena dedicare un po’ di tempo a lasciarsi andare all’essere senza il “dover essere”, all’ascolto e all’osservazione di noi stessi. Muoversi in uno spazio dove non c’è nessuna azione determinata da intraprendere, nessun risultato specifico da ottenere. Smettere di resistere a ciò che emerge spontaneamente.

Per rendere questo processo più chiaro, possiamo suddividerlo in fasi:

Fase 1. Concediti un po’ di tempo per assistere al “film” delle tue azioni, dei tuoi sentimenti, delle tue reazioni spontanee a ciò che si manifesta nella tua vita quotidiana, come se fossi uno spettatore. Osserva, senza nessun bisogno di agire di conseguenza, semplicemente dicendo: “Oh guarda, tu esisti, ok”. E lascia che sia così. Questa è una pratica per accettare chi siamo, perché se non riusciamo a cogliere intellettualmente chi il nostro “io” sia, se ogni definizione sembra riduttiva, possiamo sempre guardare il sé che si svela davanti ai nostri occhi, momento per momento, osservando ciò che si mostra e lasciando spazio perché possa esistere. È un lavoro interno, privo di alcuno sforzo per rifletterlo sul tuo comportamento esterno.

Fase 2. Ogni volta che vedi qualcosa o noti qualcosa, che ti piaccia o no, non giudicarlo. Lascia che sia, lasciati in pace, non categorizzare, non etichettare. So che è difficile, ma può aiutarti a capire quanta pressione innecessaria mettiamo su noi stessi e quanto ci rendiamo tutto più difficile la maggior parte delle volte. Cerca di non aver paura di ciò che trovi e di non essere triste per ciò che non ti piace. Tutte le nostre emozioni sono qui per darci un messaggio, ed è sempre saggio ascoltarle ed essere aperti ad esse. Con il tempo sarai in grado di identificare da dove vengono queste sensazioni (dall’amore? dalla paura? da traumi passati? dalla tua intuizione?) e decidere che tipo di importanza dare a ciascuna di loro, come interpretare il messaggio che portano. Per il momento, accettale e lascia che vivano dentro di te. Concediti tempo e spazio per riconoscere la loro presenza.

Ti svelo un segreto: questo è un lavoro che dura tutta la vita. Quindi, siediti e goditi il ​​viaggio, non avere fretta e non scoraggiarti; ci vuole tempo, ma i benefici si mostreranno e ti incoraggeranno a continuare.

PASSARE DALL’ACCETTARE AL GESTIRE

Non è necessario aspettare di aver accettato ogni aspetto di noi stessi prima di iniziare a prendersene la responsabilità e gestirlo. I due percorsi si muovono insieme, mano nella mano: più ne pratichi uno, più li padroneggi entrambi.

In questo contesto, per “gestire” si intende la capacità di scegliere quali aspetti di noi stessi vogliamo offrire agli altri, quali porte vogliamo aprire e quali la nostra saggezza consiglia di tenere chiuse, almeno per il momento. Cosa dire e cosa non dire, per esempio. Ecco perché è così importante iniziare a praticare l’accettazione: se non lasciamo esistere davanti a noi tutti nostri aspetti, potremmo agire da luoghi non molto salutari o che non riflettono ciò di cui abbiamo veramente bisogno o desideriamo, senza rendercene conto.

Andando avanti con i nostri passi:

Fase 3. Fallo a modo tuo. Cerca di liberarti dall’idea che ci sia uno “standard” che devi raggiungere. Ogni posizione, ogni ruolo in azienda è “personalizzabile”. Ciò che è sempre più apprezzato, specialmente di questi tempi, è la capacità di plasmare il ruolo su di te. Se per una determinata funzione sono necessarie determinate capacità, ciò non significa che ci sia un solo modo per esprimerle. La tua impronta personale è il vantaggio maggiore che offri alla tua azienda e a chi ti sta intorno, e garantirà la sostenibilità del ruolo che stai assumendo a lungo termine, perché nello svolgerlo non ti snaturi.

Fase 4. Concediti uno spazio interno per rispondere alle situazioni nel modo che ritieni più vicino a te. Quando siamo immersi in sistemi complessi, come le aziende, dobbiamo valutare la nostra risposta. È una questione di equilibrio tra tutte le componenti in gioco, tra cui: i tuoi valori fondamentali, la tua integrità, come ti senti a tuo agio ma anche cosa vuoi ottenere, i tuoi desideri, il pubblico a cui ti rivolgi, le regole aziendali esplicite ed implicite, cosa porta il maggior beneficio a te stesso e agli altri. Prenditi del tempo per sentire tutto, ascolta la tua intuizione, scansiona i tuoi pensieri, considera i vincoli e poi scegli come rispondere, in un modo in cui non ti sembri di tradire chi sei e in cosa credi e che allo stesso tempo ti permetta di interagire e lavorare in un sistema complesso in cui molti interessi sono in gioco, così da raggiungere i tuoi obiettivi.

Infine, ma non meno importante, l’autenticità non deve essere confusa con il “segreto professionale”, ovvero quando alcune informazioni non devono essere condivise dal manager (ad esempio i salari, a meno che non sia la politica aziendale di renderli pubblici; o trattative delicate che devono rimanere a disposizione di un gruppo selezionato di persone), oppure non devono essere condivise immediatamente, in modo da non compromettere ulteriormente una situazione. Fai attenzione a questa distinzione perché spesso è una linea sottile.

UN ESEMPIO DALLA MIA ESPERIENZA

Molti dei leader a cui faccio coaching si sono posti l’obiettivo di “contenere” le proprie emozioni per avere una maggiore presenza di leadership.

Il paradosso che affrontiamo in questo caso è: se qualcuno è emotivo, come possiamo fare in modo che questo “contenimento” non si traduca in freddezza o indifferenza, mostrando un’immagine distorta della persona? Come aiutare qualcuno ad essere in contatto con le proprie emozioni ma allo stesso tempo a gestire propri sentimenti, non essere gestiti da essi?

Nella mia esperienza, si possono fare entrambe le cose se ci si allena ad “assorbire” le emozioni. Il che non significa “cancellarle”, ma piuttosto come un surfista cavalcare l’onda e non schiantarcisi contro facendosi male. Per essere in grado di assorbire le emozioni, è importante identificarle e accettarle come parte di noi stessi, non come estranei che ci disturbano. Sfortunatamente, noto che molti trattano le loro emozioni come “cose” scomode, oppure non le trattano affatto, ignorandole, con la conseguenza che, non riconosciute, si manifestano in modi ancora più forti e incontrollabili. Più cerchi di nasconderle, più saltano fuori.

CONCLUSIONE

Quando sali di livello gerarchico nell’ambito professionale, l’”essere” piuttosto che il “fare” diventa preponderante. Questo perché la tua presenza e la tua autenticità servono a motivare le persone dal cuore, a mostrare che sei lì per loro, a guidarle. Questo è ciò che conta di più, soprattutto nei momenti difficili.

Non so se condividete questa sensazione, ma sento che questi mesi impegnativi ci stanno dando un’opportunità: ci stanno spingendo a raggiungere un nuovo livello di maturità e saggezza, dove la rigidità e le soluzioni prefabbricate non funzionano più, un livello in cui dobbiamo scavare più a fondo per trovare la nostra risposta autentica ed equilibrata al cambiamento e alla crescita che ci aspetta.

Scritto da Anna Gallotti & Selika Cerofolini

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