Una straordinaria avventura umana

Questo mese avevo in programma di presentare al Comitato esecutivo di una filiale bancaria un programma predefinito dalla società.

Quando li ho contattati per preparare la presentazione per i due giorni però,  sia il responsabile delle risorse umane che il direttore generale hanno espresso scetticismo riguardo al programma aziendale, sostenendo che non era adatto alle loro esigenze. Ho quindi cercato di conciliare entrambe le parti offrendo di adattare, piuttosto che cambiare, il programma. Sono stata in qualche modo presa tra due fuochi: la società che ha insistito per applicare lo stesso programma in tutte le filiali dell’azienda, e i membri del Comitato esecutivo che avevano le loro richieste.

Il giorno dell’incontro ho presentato il mio programma ai nove membri del Comitato esecutivo. Dopo aver identificato i problemi individuali e di gruppo, mi sono resa conto che il programma non era adatto alle loro esigenze. Ho capito che, se avessi seguito quel programma per due giorni, sia io che il programma saremmo incorsi nella disapprovazione dei membri, poiché avrebbero sentito che stavano sprecando due giorni in un contesto di lavoro ad alta tensione. Mi sono resa conto che i partecipanti erano sull’attenti e mi sarei discreditata se non avessi mostrato una certa flessibilità.

La decisione che ha capovolto la situazione

Ho quindi fatto qualcosa che fino a quel momento non pensavo fosse possibile: li ho guardati e ho detto: “Va bene, data la situazione, il programma così com’è non è adatto. Penso che alcune idee possano essere utili, ma non sulla base dei termini del programma. Ciò significa che abbiamo due giorni per mettere insieme un nuovo programma. Facciamo del nostro meglio per rendere questi due giorni utili, ricchi e significativi.” Nessun programma, quindi, nessun tema centrale, solo la mia testa, il mio e il loro cuore.

Devo confessare che sentivo che stavo saltando nel vuoto e che provavo sia paura (e se non avesse funzionato? E se non fossi stata all’altezza del compito? E se non avessimo ottenuto nulla di utile?) che eccitazione. Ma ammetto che la paura era molto più forte dell’eccitazione! Ho quindi fatto ricorso a tre risorse personali:

  1. Ho rinunciato a ogni tipo di controllo e ho detto loro esplicitamente che da quel momento in avanti avremmo dovuto lavorare insieme per raggiungere qualcosa di utile. Mi sono detta che avrei dovuto accettare di non sapere cosa avremmo fatto da un’ora all’altra e che, proprio come nel coaching individuale, dovevo fidarmi del team e credere che avrebbero avuto successo.
  2. Ho aperto il mio cuore a tutto ciò che sarebbe potuto accadere, bandendo ogni giudizio. Convinta che quello che stavo facendo fosse la cosa migliore per loro in quel particolare momento, ho fatto un respiro profondo e sono rimasta lì, davanti a loro.
  3. Ho usato le stesse tecniche del coaching individuale: ho posto le domande giuste al momento giusto, ho rifomulato i loro pensieri per approfondirli e per mettere alla prova le loro convinzioni.

Il lavoro del primo giorno

Domanda: per quali problemi dovete unire le forze per affrontare le vostre sfide?

Risposta: i nostri progetti strategici.

Il primo giorno abbiamo quindi lavorato su:

  • Definire le priorità strategiche
  • Definire per ogni strategia una persona responsabile nel gruppo e uno sponsor all’interno del Comitato esecutivo
  • Definire per ogni strategia un piano d’azione e identificare i passaggi a breve termine

 

Alla fine del primo giorno avevamo definito tutti i progetti e i piani d’azione per ciascun progetto. Il team è stato sorpreso di essere riuscito a mettere tutto sul tavolo e di aver trovato un accordo sulle priorità strategiche.

Il lavoro del secondo giorno

Dato il successo del primo giorno, le aspettative erano alte per il secondo. I membri del team non avevano idea di cosa volessero fare, ma la notte ha portato consiglio. Inoltre avevo trascorso un’intera giornata osservandoli e osservando le loro dinamiche individuali e collettive. La mattina dopo ho presentato loro tre possibili scenari, aggiungendo che erano benvenute idee migliori.

Hanno deciso di fare un lavoro approfondito sul principale ostacolo condiviso: la messa a terra dei progetti.

Ho chiesto loro di lavorare individualmente e in team sulla base della mappa dell’immunità al cambiamento. Il risultato di questo lavoro profondo è andato ben oltre le mie aspettative, poiché ha permesso loro di iniziare a individuare le difficoltà che avevano dovuto affrontare. Erano sinceri, aperti ma mai aggressivi. Abbiamo lavorato su questioni difficili, come ad esempio: siamo le persone giuste per il Comitato esecutivo? Una risposta negativa avrebbe significato che alcune dei presenti avrebbero potuto essere esclusi.

Risolto questo problema dopo una discussione animata, abbiamo deciso insieme di rivedere l’intera organizzazione delle riunioni del Comitato esecutivo rispondendo alle seguenti domande:

  • Perché esistiamo come Comitato esecutivo? Qual è la nostra ragion d’essere?
  • Come possiamo organizzarci per soddidfare la nostra missione?
  • Quali sono le questioni che dobbiamo discutere in seno al Comitato esecutivo e quali rientrano nell’area di responsabilità degli altri settori?

 

Alla fine del secondo giorno, dopo una discussione approfondita e talvolta difficile, avevamo risposto a tutte le domande, con l’accordo sincero dell’intero team. Abbiamo concluso la giornata con una sequenza di feedback individuali in modo da consentire a ciascun membro del team di esprimere la propria opinione su come porre nuove basi per un proficuo lavoro di squadra.

Le condizioni per il successo

Sono stata profondamente commossa da questo successo inaspettato. Mentre ero in aereo verso casa, avendo ricevuto ringraziamenti ed espressioni di gratitudine, ho dovuto ammettere di aver fatto veramente un buon lavoro. Ero sfinita, perché la tensione causata dal non sapere cosa sarebbe successo e il fatto di dover affrontare, da sola, nove persone esigenti, era considerevole.

Dopo alcuni giorni, con la mente riposata e lucida, ho pensato ai fattori di successo di questa impresa. Questo è quello che ho trovato:

I. Fattori che dipendono dai partecipanti

  • Avere una squadra omogenea o comunque con un obiettivo comune. Questo tipo di lavoro basato sul trovare nuove soluzioni non sarebbe possibile con un gruppo di persone che provengono da team o interessi diversi.
  • Avere un problema specifico al momento dell’incontro. Senza un problema comune è difficile creare la tensione necessaria per raggiungere un obiettivo.
  • Questo problema deve essere condiviso dal team; altrimenti i membri del gruppo non sarebbero stati interessati a spendere le loro energie per lavorarci sopra.
  • Avere la fiducia delle persone con il ruolo più rilevante nel team, nel mio caso il Direttore Generale e il Direttore delle Risorse Umane. Questa fiducia è quella che ha “contaminato” gli altri membri del gruppo. Quest’ultimo fattore è stato il più sorprendente per me, perché prima dei due giorni di coaching avevo parlato con entrambi solo al telefono, ma non li avevo mai incontrati. Penso che forse due fattori abbiano contribuito a farmi guadagnare la loro fiducia: la mia esperienza ventennale come coach, che mi ha dato affidabilità e aver detto loro durante la telefonata che ciò che contava davvero era fare qualcosa che fosse utile per loro.

 

II. Fattori che dipendono dal coach

  • Fidarsi completamente del fatto che i membri del team possano capire e individuare cosa è importante per loro.
  • Rinunciare a tutte le aspettative sui risultati. Questo può sembrare totalmente assurdo dal momento che il gruppo voleva un risultato, ma nessuno sapeva che tipo di risultato. Inoltre, il secondo giorno, non mi sarei aspettata che dicessero certe cose o portassero alla luce certe questioni. Ed è proprio perché ho messo da parte tutte le aspettative sull’obiettivo che il team, quando meno me lo aspettavo, ha iniziato a parlare apertamente e ad affrontare questioni sensibili REALI. Proprio come nel coaching individuale, se il coach VUOLE un certo risultato o ha un programma in mente per il suo cliente, è come se lo assolvesse dalla responsabilità di individuare il tipo di risultato di cui ha bisogno. È una questione di “empowerment”, che significa dare potere a qualcun altro, non a cuor leggero, ma con sincera generosità e fiducia.
  • Essere pronti e presenti per porre loro la domanda giusta, per sfidarli, per fargli affrontare le loro contraddizioni o offrire un feedback potente, nonché invitarli a prendere una decisione. Il più delle volte ho soltanto ascoltato. Non ho parlato molto durante i due giorni, ho preferito concentrarmi sul fare l’osservazione giusta al momento giusto. Questo è probabilmente ciò che mi ha stancato di più, perché questo tipo di presenza richiede la massima concentrazione in ogni momento.

 

Scardinare una vecchia credenza

Quando studiamo per diventare coaches, ci viene detto che il segreto del successo è una solida preparazione. Bene, dopo la mia recente esperienza, devo confessare di aver gettato via questa convinzione che avevo mantenuto durante la mia ventennale carriera.

Se ci sono le condizioni che ho appena descritto, non è necessaria alcuna preparazione. Anche se un minimo di esperienza nel campo del coaching è necessaria prima di imbarcarsi in questo tipo di avventura. Ma ora SO che non è necessario pianificare: bisogna solo assicurarsi che siano presenti tutte le condizioni appropriate.

Ciò consente sia al coach che al cliente di risparmiare un sacco di tempo e denaro. Non è meraviglioso?

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