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Generazioni diverse sul posto di lavoro: tra esperienze personali e ricerca

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Nella mia esperienza come coach, ho avuto l’opportunità di assistere a un conflitto tra generazioni: Valery è una manager di 45 anni e quindi una X gen. Ha conflitti regolari con due membri della sua squadra che appartengono alla generazione Y (per semplificare, li chiamerò Pat). Se dovessi descrivere in modo molto schematico il modello del loro conflitto, disegnerei questa tabella:

Attore Mentalità e lacune comunicative Intensità emotiva
Richiesta di Pat Perché abbiamo bisogno di organizzare questo incontro in questo modo e perché devo venire alla riunione? Bassa
Interpretazione di Valery Perché sfida la mia autorità, dal momento che ho deciso in quel modo per una buona ragione? Media
Intenzione di Pat Capire perché, non sfidare l’autorità di Valery Bassa
Risposta di Valery L’incontro è organizzato in modo tale da supportarti nella risoluzione di un problema con una procedura interna X della società Media
Richiesta di Pat Perché ho bisogno di venire a questo incontro, dal momento che conosco la procedura in questione e non sono d’accordo perché non ha senso? Bassa
Reazione di Valery Perché diavolo Pat non sta capendo che è importante seguire le politiche dell’azienda e perché ha bisogno di sfidare ancora la mia autorità? Alta
Risposta di Valery Questo è il modo in cui è; ora dobbiamo andare avanti per raggiungere il nostro obiettivo Alta
Reazione di Pat Perché Valery non è in grado di spiegarmi perché? Perché dobbiamo continuare a lavorare su procedure inutili? Media

… e la conversazione tra sordi potrebbe continuare, aggravando il livello emotivo con conseguenze negative sulla capacità di ascoltare ed essere empatici. Immaginiamo quando queste conversazioni sono ripetute più e più volte, così che la relazione si degrada nel tempo.

La stampa più diffusa e articoli di ricerca accademica suggeriscono comunemente che le differenze intergenerazionali sul posto di lavoro siano una potenziale fonte di conflitto.[1] Ma perché? E possono essere anche una potenziale fonte di ricchezza?

Differenze tra generazioni

Prima di tutto, teniamo presente che la ricerca riflette un punto nel tempo. Le persone su cui si basano gli studi sono ovviamente di età diverse e in diverse fasi del loro percorso lavorativo, quindi i loro bisogni, valori e prospettive possono variare di conseguenza.

Praticamente all’unanimità, anno più anno meno, sono stati individuati cinque gruppi generazionali che vivono nel nostro tempo: 

  • Tradizionalisti (1900 – 1945)
  • Baby Boomers (1946 – 1964)
  • Generazione X (1965 – 1979)
  • Generazione Y / Millennials (1980-1996)
  • Generazione Z (1997 -)

 

Secondo studi recenti[2], tuttavia, non sembra che le differenze tra le generazioni nel modo in cui affrontano il lavoro siano così rilevanti. Infatti, i risultati degli studi dimostrano che i lavoratori di tutte le generazioni desiderano un lavoro significativo, che li motiva da dentro, fornendo un senso di realizzazione. 

La definizione di “lavoro significativo” come motivazione intrinseca però, può leggermente differire da una generazione all’altra: si pone un accento sul raggiungimento degli obiettivi per i Baby Boomers, sull’equilibrio lavoro/tempo libero per la Generazione X, sul voler essere al servizio di una causa maggiore per i Millennials e sull’avere un lavoro dinamico e flessibile con responsabilità elevate per la giovane Generation Z.

Una indagine CliftonStrenghts condotta su un gruppo di 250.000 persone, mostra quali sono i talenti più rilevanti per i lavoratori di ogni generazione[3]:

MILLENNIALS GEN XERS BABY BOOMERS TRADITIONALISTS
1. Ambizione 1. Ambizione 1. Responsabilita’ 1. Responsabilita’
2. Empatia 2. Responsabilita’ 2. Voglia d’imparare 2. Voglia d’imparare
3. Voglia d’imparare 3. Voglia d’imparare 3. Ambizione 3. Connessione
4. Flessibilita’ 4. Dialettica 4. Dialettica 4. Ambizione
5. Responsabilita’ 5. Pensiero strategico 5. Pensiero strategico 5. Input

 Lo studio evidenzia come, tra i punti di forza dei Millennials, diversamente da tutti gli altri, siano inclusi empatia e flessibilità, in altre parole attenzione ai bisogni degli altri e una propensione a “seguire il flusso”. Sembra invece che la connessione dei Tradizionalisti (intesa come connessione con la comunità e costruire su di essa) si sia sfumata a favore di un approccio più individualista delle generazioni successive, fino al cambiamento rivoluzionario di significato che la parola “comunità” ha acquisito attraverso la lente della tecnologia.

L’interconnessione dei Millennials, infatti, li rende molto confortevoli all’interno di ampie reti e in un approccio personale uno-a-uno, ma incontra difficoltà quando si sposta l’attenzione sull’ allineamento del team: la generazione Y infatti, risulta meno consapevole rispetto alle generazioni precedenti di quali siano esattamente i ruoli dei loro colleghi, i loro obiettivi lavorativi e le loro esatte competenze.

Nonostante queste differenze, tutti i gruppi generazionali si sentono più coinvolti nel loro lavoro se hanno: 

  • Motivazione intrinseca: sentono che il lavoro che fanno è significativo
  • Aspettative ben delineate: c’è chiarezza su ciò che ci si aspetta da loro e su come raggiungerlo
  • Un manager che aiuta a individuare i goals e stabilire le priorità

Quest’ultimo punto è particolarmente vero per i Millennials, i quali, rispetto agli altri gruppi, hanno le maggiori difficoltà nell’individuazione delle priorità.

Il “caso” dei Millennials

Tra tutte, i Millennials sono stati la generazione di lavoratori più studiati e meno compresi. Sembrano vivere il mercato del lavoro come consumatori, saltando da un lavoro all’altro alla ricerca della migliore opportunità, che dia loro ciò che cercano, con un livello decrescente di coinvolgimento rispetto agli altri gruppi. Ma è perché sono “pigri” o “superficiali” o non hanno un’etica del lavoro, come è stato detto? Piuttosto il contrario. Sembra che il mercato del lavoro fatichi a dare loro ciò di cui hanno bisogno e quindi trattenerli come dipendenti. 

Il cambiamento più evidente che si può notare è che, rispetto agli altri gruppi, i Millennials hanno un livello molto alto di consapevolezza di se stessi e degli altri, e un’attenzione molto forte al loro sviluppo personale, unito al desiderio di scoprire e costruire sui loro punti di forza. Infatti, quando si chiede quale sia la caratteristica più importante che un potenziale lavoro dovrebbe avere, la Generazione Y pone un accento molto più marcato sulle possibilità di crescita e apprendimento rispetto a qualsiasi altra generazione[4].

Bisogna considerare che i Millennials sono la generazione che ha visto la nascita e l’evoluzione della “rete”. La tecnologia, avanzando a una velocità incredibile, per questo gruppo ha significato:

  • Aprire infinite possibilità e moltiplicare le opportunità – con la conseguente euforia e senso di libertà, ma anche mancanza di direzione e sentirsi un po’ paralizzati per la troppa scelta.
  • Avere accesso a un immenso insieme di dati e informazioni– favorendo la contaminazione, il multitasking ma anche una sensazione di sopraffazione.
  • Abbattere i confini e cambiare la relazione con lo spazio e la distanza – rendendo il mondo intero il loro “campo da gioco”, creando più apertura ma iniziando anche a mettere in crisi il senso di identità e il significato delle radici.
  • Aprire conversazioni e favorire una consapevolezza più profonda del sé, degli altri e del proprio posto in relazione a ciò che ci circonda, e quindi un aumento dell’empatia e del senso di “essere al servizio” di una causa più alta.

 

Forza lavoro vs posto di lavoro

In questa prospettiva, la forza lavoro sembra essersi evoluta molto più rapidamente rispetto al posto di lavoro. Poiché gli esseri umani sono estremamente flessibili e adattabili, possono assimilare informazioni e imparare a un ritmo molto veloce, ma le strutture che hanno creato (almeno fino ad ora) sono ovviamente molto più rigide e resistenti al cambiamento. Con l’avvento della tecnologia e data la velocità senza precedenti a cui esistiamo e ci rapportiamo con il mondo, i Millennials sembrano essere la prima generazione a pagare il costo di questo disallineamento, non sentendosi “a casa” nella mentalità aziendale creata da precedenti generazioni, le quali, anche se vogliono e ci provano veramente, raramente riescono a “fidelizzare” questa generazione di lavoratori. Oltre a ciò:

  • I Millennials sono i più istruiti tra tutte le generazioni precedenti. Sono cresciuti con un modus operandi di apprendimento continuo e sete di sviluppo personale, con un senso di unicità e adesso, sia come dipendenti che come persone, cercano un ambiente corrispondente sul posto di lavoro.
  • L’interconnessione globale ha cambiato le dinamiche delle relazioni umane.  Ovvero come ci relazioniamo con noi stessi e i nostri gruppi di appartenenza. A differenza delle generazioni precedenti, i Millennials rimandano la creazione di famiglie proprie, e anzi ne mettono in discussione il concetto stesso, e considerano il lavoro come parte integrante della loro vita e della loro crescita personale.
  • I concetti di famiglia e comunità sono stati ridefiniti e la loro funzione come spazio al di fuori del lavoro come terreno per la crescita personale e la cura di sé, nel modo in cui esisteva per i Tradizionalisti, i Baby-Boomer e una parte considerevole della Generazione X, si è notevolmente sbiadita e ha iniziato ad estendersi al posto di lavoro, proporzionalmente alla misura in cui i Millennials considerano il luogo di lavoro lo spazio per l’autorealizzazione. La Generazione Y porta sul posto di lavoro gli obiettivi di realizzazione di sé e una buona dose di idealismo.
    Figli dei Baby-Boomers, infatti, i Millennials sono stati cresciuti con un bagaglio di ottimismo e promesse inespresse di un futuro roseo. Ciò ha evocato a volte l’espressione “sentirsi in diritto”, che è stata usata per stigmatizzare questa generazione, ma in realtà, potrebbero essere solo le parole sbagliate per descrivere una generazione idealista e fiduciosa.
  • La “lealtà verso l’azienda” dei Tradizionalisti sembra essersi spostata sempre più (con la Generazione Z come ultima incarnazione) sulla “lealtà verso se stessi”.

 

Il cambiamento nella Leadership[5]

PASSATO FUTURO
Il mio stipendio Il mio scopo
La mia soddisfazione Il mio sviluppo
Il mio capo Il mio coach
La mia revision annuale Le mie continue conversazioni
I miei punti deboli I miei punti di forza
Il mio lavoro La mia vita

 

Oltre le differenze

A questo punto ci chiediamo, sono sufficienti questi elementi per comprendere il conflitto generazionale sul lavoro?

Non proprio. Infatti, la ricerca più recente individua la ragione del “conflitto tra generazioni” nell’esistenza di stereotipi negativi dovuti a un meccanismo cognitivo di default che soddisfa due bisogni umani fondamentali, inclusione e differenziazione: gli individui cercano il senso di appartenenza a un gruppo in parte attraverso il confronto con altri gruppi. Questo confronto lascia spazio sia a un pregiudizio positivo verso il gruppo con cui ci si identifica, che a un pregiudizio negativo verso il gruppo estraneo, influenzando le interazioni tra i membri così da favorire l’insorgenza del conflitto[6]. La ricerca mostra che nella maggior parte dei casi questa tensione si manifesta con la visione dei membri di altre generazioni come lavoratori non dedicati, che non si interessano al senso di ciò che producono e che semplicemente stanno lì per lo stipendio[7].

Quindi, se gli stereotipi generazionali abbondano, probabilmente non sono veri e non c’è motivo di soffermarsi sulle differenze, né creare gruppi di affinità basati sull’età. In verità, l’obiettivo per il leader contemporaneo (di qualsiasi generazione sia) dovrebbe essere:

  • Andare oltre le “etichette”[8], aiutando i collaboratori a riconoscere che ognuno di loro ha un set distinto di competenze e unici punti di forza da offrire, quindi
  • Considerarli come individui unici,
  • Tenendo conto di dove si trovano nella loro vita, perché naturalmente, un’età diversa spesso significa priorità diverse.
  • Per fare ciò, il leader dovrebbe conoscere bene la propria forza lavoro, magari conducendo sondaggi annuali che includano visioni e valori, modalità di comunicazione e percorsi professionali preferiti.

 

Unire le generazioni

Così come nella vita al di fuori del lavoro, un’azienda trarrebbe grandi vantaggi dal favorire lo scambio tra le generazioni, in un clima di apertura e sicurezza, per consentire uno scambio costruttivo e una “impollinazione reciproca”. Come accennato in precedenza, le sfide che si presentano alle varie generazioni e i valori che promuovono la loro motivazione intrinseca non sono così diversi, quindi perché non creare le condizioni per costruire un ponte sul gap generazionale, superando i nostri pregiudizi?

Come suggerisce Chip Conley nel suo articolo[9], le aziende potrebbero favorire questa dinamica:

  • Offrendo spazio alla saggezza. Una piattaforma per chiunque ha voglia di condividere la propria esperienza in momenti specifici durante la giornata lavorativa.
  • Valorizzare i saggi. Riconoscere e premiare l’esercito silenzioso di saggi collaboratori che offrono produttività invisibile all’organizzazione. Consentendo loro di destinare parte del loro tempo a tutoraggio o coaching di colleghi che al momento si rivolgono loro in modo informale.
  • Sviluppare un programma di mutuo sostegno. Integrandolo nei valori e nella cultura dell’azienda e stabilendo un sistema di match-making tra lavoratori esperti e nuovi assunti.
  • Creare un Employee Resource Group (ERG) incentrato sulla saggezza. Portare insieme i saggi del nostro tempo può aiutare tutti, sfruttando la loro intuizione, visione e conoscenza.

E in generale, promuovendo conversazioni e opportunità di apprendimento reciproco.

In conclusione

Nelle precedenti newsletter, abbiamo parlato dell’importanza della diversità e dell’inclusione, di come sfruttare le differenze e l’unicità di tutti per costruire un ambiente di lavoro aperto, coinvolgente, in continua crescita. Bene, questo si estende non solo al genere, all’etnia, alla condizione socio-economica, ma anche all’età e al momento storico in cui siamo cresciuti. Nell’affrontare questo mondo incredibilmente complesso e questo paesaggio stratificato e in continua evoluzione, possiamo convenire che nessuno ha le risposte, quindi perché non proviamo, con umiltà e apertura all’ascolto e all’apprendimento, a costruire insieme il nostro futuro?

Per concludere su una nota più personale, voglio anche condividere con voi che questo argomento mi tocca da vicino, da quando lavoro con Selika, con cui sto scrivendo questo articolo. Lei è una Y gen, mentre io sono una X gen. Anche se a volte mi sorprende, dal momento che alla sua età io non ero impegnata nella stessa ricerca di significato, ho deciso fin dall’inizio che questa nuova collaborazione sarebbe stata per me (e forse anche per lei) una fantastica opportunità per capire un altro mondo da dentro. . E così è, con alcune sorprese e qualche punto d’interrogazione che è sempre stimolante. Riconosco il potere delle buone intenzioni che ci sono dietro, cerco di capire, di mettere insieme la nostra diversa prospettiva in qualcosa di significativo per entrambe. È vero che a volte è impegnativo perché siamo di fronte ai nostri limiti e pregiudizi, ma è davvero un viaggio da intraprendere, ve lo assicuro!

Scritto da Anna Gallotti e Selika Cerofolini

____

[1] Work, Aging and Retirement, Volume 3, Issue 2, 1 April 2017. Oxford Academics

[2] Every Generation Wants Meaningful Work — but Thinks Other Age Groups Are in It for the Money, Kelly Pledger Weeks, HBR, July 31, 2017

[3] How Millennials Want to Work and Live, ©2016 Gallup, Inc.

[4] How Millennials Want to Work and Live, ©2016 Gallup, Inc.

[5] How Millennials Want to Work and Live, ©2016 Gallup, Inc.

[6] Work, Aging and Retirement, Volume 3, Issue 2, 1 April 2017. Oxford Academics

[7] Every Generation Wants Meaningful Work — but Thinks Other Age Groups Are in It for the Money, Kelly Pledger Weeks, HBR, July 31, 2017.

[8] Managing People from Five Generations, Rebecca Knight, HBR, September 25, 2014.

[9] 4 Ways to Help Different Generations Share Wisdom at Work, Chip Conley, HBR, May 18, 2018

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