Demistificare il fallimento per migliorarsi ed essere audaci

“Sbagli il 100% dei colpi che non tiri mai”
Citazione di Wayne Gretzky, uno dei più grandi giocatori di hockey

Il fallimento: il serpente che si morde la coda

La maggior parte di noi ha imparato a temere il fallimento sin dall’infanzia. Lo studente che ha paura di non passare un esame, il capo di un’azienda che si preoccupa di andare in bancarotta o il dipendente che aspetta con ansia una promozione, sono tutti esempi con una connotazione negativa.

Tuttavia questa connotazione negativa sembra stia cambiando. Il libro recentemente pubblicato dal filosofo Charles Pépin[1] che mostra le virtù del fallimento, l’avvento delle conferenze “Fail conf” che consentono agli uomini d’affari di condividere punti di vista e risollevarsi dopo un fallimento, sono tutti segni che indicano che la nostra percezione del fallimento sta cambiando.

Tuttavia la paura del fallimento è ancora profondamente radicata nella nostra cultura. Il fallimento è qualcosa che cerchiamo di evitare. Spesso limita la nostra abilità di correre rischi. La paura del fallimento può paralizzare e impedire di agire. Un esempio è il caso di Lisa che, dopo aver trascorso alcuni anni a prendersi cura dei propri figli, non osa cercare un lavoro per il quale è qualificata per paura del rifiuto. Accetta lavori modesti e, anche se è frustrata, si sente incapace di ottenere il tipo di lavoro che le sarebbe davvero adatto. Secondo lo psicoanalista Jacques Arènes, la paura del fallimento è il principale ostacolo alla realizzazione personale.

Il fallimento genera anche la paura di essere considerati dei perdenti o dei buoni a nulla. Tuttavia, come dice Charles Pépin[2], “aver fallito non significa essere dei falliti”.

A volte è la stessa paura di fallire che ci fa fallire. Maggiore è la nostra paura di un fiasco, più implementiamo strategie per evitarlo a qualsiasi costo (incluso il rinunciare ai nostri obiettivi). Questo a sua volta porta ad una sensazione di fallimento. In altre parole, creiamo il serpente che si morde la coda!

Il primo passo: accettare chi siamo

Il primo passo per aiutarci a vivere con i nostri fallimenti (che sono inevitabili) sta nell’accettazione di chi siamo. Come spieghiamo nel nostro libro[3], in determinate circostanze è importante accettare i nostri limiti. Il fallimento deriva da tre fonti: in primo luogo dal fatto che non siamo perfetti, in secondo luogo quando si corrono dei rischi (ad esempio partecipando ad un nuovo progetto o cercando una nuova ricetta in cucina!) E infine dalla nostra incapacità di prevedere il futuro con certezza assoluta (esempio: il divario tra le previsioni delle recenti elezioni statunitensi e l’esito effettivo). Questi tre fattori a volte ci traggono in inganno e di conseguenza facciamo sia errori evitabili che quelli inevitabili. In entrambi i casi, è inutile trovare un partito colpevole, biasimare noi stessi o entrare in uno stato di negazione.
Quello che conta veramente quando si affronta il fallimento è capire il messaggio. Come dice Spinoza: “Ho assiduamente cercato di imparare a non ridere delle azioni degli uomini, a non piangerne, a non odiarle, ma a comprenderle.”

Accettare chi siamo significa anche evitare di scoraggiarsi o di auto-giudicarsi, prendendo invece il tempo per scoprire il messaggio che si cela dietro al fallimento. Facciamo lo stesso errore più e più volte a meno che non prendiamo il tempo per riflettere. Come scrive Chérie Carter-Scott, “una lezione viene ripetuta fino a quando non si apprende”[4]. Rischiamo di ripetere i nostri errori, anche senza volerlo, a meno che non li guardiamo dritti in faccia.

Comprendere significa anche decodificare i messaggi inconsci, come esemplificato da Carlo, un manager che vorrebbe passare un esame per trasferirsi ad una posizione esecutiva. Si prepara bene e ha tutte le qualità per avere successo. Purtroppo, il giorno dell’esame, fallisce miseramente. Dopo aver superato la sua delusione, si rende conto che quella che considerava un’ambizione personale era solo il desiderio di dimostrare a suo padre che era capace di riuscire, anche se infondo a lui non interessava.

Se prendiamo tempo per analizzare i nostri fallimenti, scopriamo i loro vantaggi. Nel suo libro Charles Pépin lo esemplifica quando scrive: “è perché si fallisce che si ha successo” e continua citando esempi di diversi campi (Edison, General de Gaulle) per mostrare come i fallimenti possono a volte essere costruttivi e portare al successo.

Infatti, il fallimento ci aiuta ad apprendere e ci incoraggia ad analizzare cosa non ha funzionato e rettificare le nostre azioni prima di ricominciare. È anche un’ottima occasione per fare autoanalisi e acquisire consapevolezza del nostro comportamento, delle nostre reazioni, dei nostri punti di forza e le nostre debolezze. L’umiltà guadagnata attraverso il fallimento ci permette di prepararci per il futuro.

Il fallimento è simile ad un bivio…

La metafora del bivio si applica alle nostre reazioni nei confronti del fallimento. Quando ci troviamo di fronte ad un fallimento possiamo scegliere tra diverse opzioni:
1. Continuare nel nostro solito modo, ignorando il fallimento
2. Affrontare il fallimento ma tornare poi alla nostra solita reazione
3. Affrontare il fallimento e poi intraprendere un nuovo percorso con il rischio aggiunto di fare ancora un altro errore da cui però apprendiamo ancora qualcosa, e così via, fino a quando “abbiamo finalmente appreso la lezione”.

L’opzione 1 non offre alcuna possibilità di apprendimento poiché, come abbiamo già detto, il primo passo per superare un fallimento è affrontarlo.

L’opzione 2 può dipendere da circostanze esterne e da una scelta consapevole: a volte vediamo e capiamo le ragioni che stanno dietro i nostri fallimenti, ma non abbiamo né l’energia né la volontà di cambiare il nostro comportamento, come dimostrato dal dilemma di Sandra. Sandra non può mettere limiti al suo lavoro, ma, poiché è coinvolta in un importante progetto, decide di continuare, nonostante il doloroso onere imposto alla sua vita privata. A volte decidiamo di continuare sullo stesso percorso, nella speranza di fare meglio.

Vediamo più da vicino l’opzione 3.

Cambiare il nostro modo di pensare per imparare e agire in modo diverso

Einstein ha detto che “Nessun problema può essere risolto senza cambiare il livello di coscienza che lo ha creato”. Ciò significa che il secondo passo, dopo aver accettato il fallimento, è cominciare ad agire in modo diverso in modo da evitare di fallire di nuovo. Einstein ha anche detto: “non si fallisce mai finché non si smette di provare”. Per agire in modo diverso, dobbiamo abbandonare le nostre convinzioni, le nostre credenze consce e inconsce, nonché il tipo di comportamento che ci ha guidato verso il fallimento. Ciò è più facile detto che fatto e comporta il tentare di agire in maniera diversa rischiando quindi di fallire di nuovo[5]. Il fatto è che se decidiamo di avventurarci nel percorso del cambiamento, dobbiamo anche accettare di commettere errori, proprio come un bambino che sta imparando a camminare deve cadere centinaia di volte per attivare nuovi muscoli che gli permetteranno di camminare. Imparare a tentare e commettere errori implica smettere di cercare la perfezione e valorizzare l’audacia. Grazie ai nostri fallimenti e ai nostri errori impariamo a cambiare e quindi migliorare.

Conclusione: il paradosso del fallimento

Quando affrontiamo il fallimento, se percepiamo noi stessi come dei perdenti, probabilmente falliremo ancora, proprio come il serpente che si morde la coda. Inoltre rischiamo di fallire se lo accettiamo e decidiamo di intraprendere un percorso diverso, perché il fallimento fa parte del processo di apprendimento. Tuttavia la differenza tra le due istanze è essenziale: il primo caso è statico ed è fonte di malessere mentre il secondo è parte di un processo di rinnovo e aumenta la nostra capacità di autodifesa, che è la fonte della nostra resilienza di fronte al fallimento. Un cliente indiano che lavora per un’azienda multinazionale ci ha ricordato una delle qualità di un vero leader, il coraggio di fallire. Se abbiamo questo coraggio, abbiamo la possibilità di migliorare e di aiutare gli altri a migliorare insieme a noi.

Articolo scritto con Maryvonne Lorenzen


[1] Charles Pépin, Les Vertus de l’échec, Allary Editions (lingua francese)

[2] ibid

[3] Gallotti & Lorenzen, L’arte di prendere le decisioni giuste, Feltrinelli

[4] Chérie Carter-Scott, If life is a game, these are the rules, ed Broadway Books

[5] Sulle resistenze al cambiamento, vedi la newsletter di aprile « Metti l’acceleratore sulla tua flessibilità al cambiamento!”

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