Spesso ci diciamo “No” prima ancora di porre la domanda. Ad esempio, quando ho scritto il mio primo libro, “L’arte di prendere le decisioni giuste“, io e la mia coautrice volevamo chiedere la sponsorizzazione sulla copertina di due noti professori, ma non osavamo. Poi mi sono detta: “Che male può fare provare, al massimo ci diranno di no!” Abbiamo chiesto…e ce l’hanno data!
Riuscite a pensare a qualche esempio simile tratto dalla vostra esperienza? Scommetto di sì. E quante volte ci avete affettivamente provato, nonostante la riluttanza a farlo? Quante volte è stato un Sì alla fine? E se è stato, in effetti, un “No”, che impatto ha avuto su di voi?
Personalmente ho notato che se sento il desiderio di provare qualcosa ma non oso, quando finalmente lo faccio, anche se la risposta si rivela negativa mi sento meglio per aver provato, e il No aiuta a lasciar andare qualcosa che altrimenti avrebbe continuato a girare nella mia mente come una possibilità inesplorata. Il No, in questa prospettiva, può essere molto liberatorio.
Quando ci scoraggiamo o non osiamo, diciamo di no a noi stessi.
Che cosa fa davvero male nel ricevere un rifiuto?
Come dicevo prima, ricevere un No può essere estremamente liberatorio. Pensateci. Annullando una certa opzione siete liberi di pensare a molte altre. Come diceva un mio buon amico, “l’oggetto del tuo desiderio deve desiderarti a sua volta”. E quale modo migliore per sapere se non chiedere? Un Sì o un No vi daranno esattamente l’informazione di cui avete bisogno per andare avanti.
Ricevendo un No, sei libero di guardare altrove e lasciar andare ciò che comunque non avrebbe funzionato, ciò che non faceva per te, ciò che non ti “desiderava”. Quando rispondiamo No a noi stessi prima ancora di chiedere stiamo proteggendo il nostro ego dal rifiuto. E’ lo stesso meccanismo che si verifica quando ci diamo spiegazioni o risposte dettagliate su una certa situazione nella nostra mente, facendo tutto da soli invece di porre una domanda aperta sulle circostanze a chi potrebbe risponderci.
In questo modo ci proteggiamo dall’udire qualcosa che potrebbe ferirci. Quello che si ferisce è la nostra autostima, il valore che ci attribuiamo e che facciamo dipendere così tanto dalle risposte degli altri.
Nel mio caso, per esempio, qual era la mia paura? Cosa mi impediva di chiedere la sponsorizzazione? Era che il nostro libro non fosse abbastanza buono, interessante o rilevante da meritare l’attenzione di questi autori famosi. Non chiedendo proteggevo quella parte del mio ego che era vulnerabile e aveva bisogno di credere che il nostro libro fosse valido – che io come professionista (e come persona?) avessi “valore”.
La misura della nostra esitazione a chiedere è proporzionale al nostro attaccamento alla convalida esterna come misura del nostro valore. Il tutto diventa ancora più significativo se attribuiamo alla risposta esterna il potere di determinare il nostro valore come PERSONA, non solo come professionista. In tal caso, un No può essere piuttosto distruttivo per alcune parti della nostra identità e della percezione che abbiamo di noi stessi. Tutto questo è molto umano e molto naturale e tutti ne siamo vittime in una certa misura, ma attenzione: non è molto vero e non è molto saggio.
La parte difficile è rendersi conto che ciò che proteggiamo quando evitiamo di fare la domanda è sì quella parte vulnerabile – ma anche IMPAURITA, di noi stessi. Lasciandole dettare il nostro comportamento, diamo forza a quella paura e inviamo a noi stessi il messaggio che quella paura ha il diritto di esistere. Fondamentalmente, così facendo, confermiamo il concetto negativo che abbiamo di noi stessi (“Non sono abbastanza bravo” o “Non valgo” etc.).
Quindi, cosa dovremmo fare?
Osservando le nostre emozioni e schemi di pensiero, possiamo identificare se l’esitazione e lo scoraggiamento nel chiedere o provare ad ottenere quello che vogliamo stanno rispondendo a quella paura, e quali convinzioni sottostanti la supportano. Diventando scienziati di noi stessi – da soli o con l’aiuto di un coach o di un terapeuta – e facendo chiarezza su ciò che sta alla base del nostro rifiuto di agire, otteniamo l’opportunità di una libera scelta.
Questa libertà sta nel comprendere la motivazione dietro al nostro comportamento. Se quest’ultimo deriva da convinzioni negative su noi stessi a cui diamo credito, possiamo intraprendere l’azione opposta. Ciò significa agire nonostante l’ansia che ci provoca. Comportarsi in questo modo ci porterà, passo dopo passo, a sentirci più a nostro agio con il rischio del rifiuto e a vedere un No come un problema non grave. Il No non diventerà nient’altro che un “reindirizzamento” del nostro tempo, energia e attenzione verso altri modi per raggiungere lo stesso obiettivo o verso un altro obiettivo.
Questa “indagine” però potrebbe portare anche altre scoperte. Potremmo ad esempio capire che dietro la nostra esitazione c’è una mancanza di motivazione dovuta al debole interesse nel perseguire tale risultato, una consapevolezza interiore che in fondo non lo vogliamo veramente, che non è ciò che desideriamo.
Questo mi fa pensare a quando, prima di diventare coach, lavoravo in un campo totalmente diverso e anche se dovevo cercare un nuovo lavoro, resistevo nel provarci. La mia riluttanza a candidarmi per quei lavori, in quella circostanza, non era mancanza di fiducia o paura di essere rifiutati o il dubitare delle mie capacità. In quel caso infatti, ogni volta che finivo per fare una domanda e ricevevo un No mi sentivo sollevata!
Inviavo le candidature perché avevo bisogno di lavorare e perché era quello che sentivo di “dovere” fare, ma non era in linea con ciò che volevo veramente, né con il mio percorso di vita. Grazie a tutti i No ricevuti, ho deciso invece di esplorare le mie passioni e ho trovato il Coaching. Quando l’ho incontrato, ho capito che era il passo giusto per me e ho colto l’occasione al volo.
Quindi, la morale qui è: ascolta te stesso! Vai a fondo, fatti le domande e ascolta. Il tuo cuore non mentirà.
Una piccola dritta: di solito la paura si manifesta come una sensazione paralizzante. Se ti senti congelato e nervoso allo stesso tempo, probabilmente è proprio lei. La mancanza di desiderio può invece ricordare una sensazione di “meh, è uguale, non mi importa”, tra noia, stanchezza e tristezza – una mancanza di vitalità diciamo.
Questa è ovviamente un’indicazione molto generale; ricorda che proprio tu sei lo scienziato di te stesso, quindi la cosa più importante è osservare e imparare come si manifestano queste sensazioni per te.
Spero che questo ti sia utile e la prossima volta che ti ritrovi a voler dire No, prendi la lente d’ingrandimento e guarda cosa si nasconde dietro! Buona fortuna!