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Alla ricerca della felicità: la prospettiva di Aristotele

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 La felicità è il significato e lo scopo della vita, l’intero scopo e il fine ultimo dell’esistenza umana.”
Aristotele, Etica Nicomachea, 350 a.C.

Nel clima bollente dell’estate e delle proteste razziali qui negli Stati Uniti, ci rendiamo conto che il virus è stato solo uno dei sintomi di una pandemia molto più grande. Il mondo ha sofferto per molto tempo e sembra che adesso siamo finalmente in grado di vederlo e, magari, fare qualcosa a riguardo.

La bozza originale della Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti redatta da Thomas Jefferson dice: “Noi riteniamo che le seguenti verità siano sacre e innegabili: che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono stati dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che tra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità.”

È curioso notare che questo documento fu redatto nel 1776 d.C., mentre andando indietro dello stesso numero di anni a partire dall’anno zero, nel 1754 a.C., raggiungiamo la data attribuita al codice di Hammurabi, un insieme di 282 leggi basate sulla stratificazione della società a seconda della classe sociale, dello status di schiavo o uomo libero, uomo o donna.[1] Viene da chiedersi in momenti come questi secondo quale codice viviamo oggi.

In questo momento storico, però, sembra stia accadendo qualcosa di diverso: più che rimanere bloccati nello status quo o nel passato, si avverte spazio per il cambiamento. Grazie al COVID19 e alle misure adottate per contenerlo, alcuni dei vecchi sistemi, regole e modelli di comportamento sono stati modificati, rimossi, rifiutati, rivisitati. Ciò che sembrava inamovibile si sta sgretolando, lasciandoci a guardare ciò che viene esposto. E cosa vediamo?

Questa è una domanda aperta e la sensazione è che rimarrà aperta per molto tempo, che il vaso di Pandora è stato scoperto e che emergeranno altri venti di trasformazione. Ma non dobbiamo aver paura, perché per quanto sia difficile, triste o doloroso, questa forza è anche incredibilmente potente, piena di speranza e di vita. Non è il momento di chiudere gli occhi o distogliere lo sguardo. Tuffiamoci nell’onda e nuotiamo profondamente nell’opportunità del cambiamento e nella ricerca della felicità sotto la guida di un’anima saggia del passato. 

La felicità soggettiva: l’esercizio della virtù

“È felice chi vive in accordo con la virtù completa ed è sufficientemente equipaggiato con beni esterni, non solo per un certo periodo fortunato ma per tutta la vita.”
Aristotele, Etica Nicomachea, 350 a.C.

2300 anni dopo la sua enunciazione, l’etica aristotelica, che ha introdotto la “scienza della felicità”, racchiude tutte le caratteristiche del concetto contemporaneo di felicità soggettiva: l’autorealizzazione, la ricerca di significato e il flusso del coinvolgimento creativo con la vita. Per Aristotele infatti, la Virtu’ non si trova nell’applicare alla lettera regole e principi, ma nel nostro intreccio con la trama della vita, nello scegliere la cosa giusta in ogni situazione, anche se non è ciò che sul momento ci dà piacere, ma è ciò che porterà il miglior risultato alla fine. Nell’approccio aristotelico, la gratificazione istantanea trova poco spazio.

Il filosofo ci spinge infatti ad agire verso obiettivi intrinsecamente positivi, la cui ricompensa risiede nella loro stessa esperienza e non nell’aspettativa di qualche beneficio futuro. Agendo in questo modo, una persona conquista quello stato di “flusso nel momento presente” che è una delle condizioni alla base della felicità ed è naturalmente portata a comportarsi in modo giusto e a mirare sempre alla migliore versione di sé stessa.

La felicità, per Aristotele, dipende dalla conquista di una forza di carattere e una morale in cui siano evidenti le virtù del coraggio, della generosità, della giustizia, dell’amicizia e della responsabilità civile. Da protagonisti principali della nostra vita, sta a noi scegliere di compiere azioni virtuose in ogni occasione, a seconda delle diverse circostanze. La virtù quindi non deve essere intesa come un insieme rigido di regole e imposizioni, ma come uno strumento flessibile in quanto ogni individuo è unico e l’essere una brava persona attraverso gli atti quotidiani varia da individuo a individuo. Ognuno di noi deve cercare di mettersi in contatto con la propria coscienza e trovare qual è per noi il modo etico di agire.

Per Aristotele, il comportamento virtuoso si collocherebbe, a livello individuale, nel “Giusto Mezzo”: una posizione intermedia tra eccesso e carenza di alcune caratteristiche che variano a seconda della natura dell’individuo. Una natura appassionata, ad esempio, avrà un punto medio nel suo approccio infuocato alla vita che sarà probabilmente visto come un eccesso da qualcuno con una disposizione più tranquilla. La bellezza della filosofia di Aristotele sta nel fatto che, non appena il maestro inizia a stabilire alcune regole morali, le attenua prendendo in considerazione la varietà e la contingenza di particolari temperamenti e personalità, lasciando così estrema libertà all’azione e alla volontà individuale.

Diversamente da altre scuole di pensiero l’approccio di Aristotele è profondamente umano: la sua filosofia è radicata e centrata sull’esperienza umana. Secondo il filosofo, nella nostra ricerca della felicità non possiamo prescindere da condizioni limitanti come i bisogni primari di riparo, nutrimento e legami sociali al fine di raggiungere una soddisfazione e una realizzazione durature. Per Aristotele, la felicità richiede la soddisfazione di tutte le nostre potenzialità come esseri umani e deve avere un aspetto sia teorico che pragmatico.

“L’etica”, ci dice Aristotele, “a differenza degli altri rami della filosofia, ha uno scopo pratico. Perché non stiamo studiando la natura di essere una brava persona per il gusto di sapere di cosa si tratta, ma affinché possiamo diventare buoni, senza il quale risultato la nostra indagine sarebbe inutile.”[2] In altre parole, questo antico pilastro di saggezza ci sta dicendo che parlare di essere buoni e fare del bene o riconoscere intellettualmente i benefici dell’agire etico, non sono di alcun beneficio se non usiamo questa conoscenza per modificare nella pratica della vita le nostre ambizioni, comportamenti e pensieri, verso noi stessi e gli altri. Non dobbiamo parlare della virtu’ o comprenderla come concetto, ma esercitarla, con una condotta morale, costantemente, secondo la nostra disposizione e temperamento naturale.

Il modo in cui si esercita la virtù è attraverso l’impegno attivo con la nostra comunità di individui. Senza interagire con gli altri, dice Aristotele, non possiamo praticare quella Virtù che è all’origine della nostra felicità. Una virtù che “deriva dal bene, e si realizza attraverso un processo di apprendimento e la forza di volontà”.

La felicità collettiva: uno Stato fondato sull’amicizia

Perciò sembrerebbe che l’essere amati sia cosa migliore dell’essere onorati e che l’amicizia sia cosa desiderabile di per sé stessa. E sembra che essa consista più nell’amare che nell’essere amati.
Aristotele, Etica Nicomachea, 350 a.C.

Per Aristotele, la felicità individuale non è possibile se non corrisponde alla felicità collettiva. Non possiamo essere felici se gli altri non sono felici, non possiamo essere liberi e sentirci sicuri se gli altri non sono liberi e si sentono sicuri.

Nella sua Etica, il filosofo sollecita la creazione di un sistema statale basato sulla “concordia civica”, un termine che descrive un atteggiamento di incrollabile responsabilità e buona volontà verso i concittadini. Aristotele crede che sia necessaria una base di amicizia tra i cittadini e che lo Stato abbia il dovere morale di assicurare e incoraggiare la realizzazione di questi legami di fiducia, rendendo possibile ciò che è opportuno per tutti in modo morale e coscienzioso.

Lo stato ideale di Aristotele è quindi fondato sulla magnificazione delle relazioni personali, delle amicizie virtuose in particolare. Un’amicizia virtuosa è quella che unisce piacere e virtù, soddisfacendo così la nostra natura emotiva e quella intellettuale.

Coloro che non riescono a formare legami significativi sono quindi quelli che traggono un vantaggio iniquo dal sistema e dai concittadini, magari guadagnando beni materiali ma perdendo il rispetto e l’amicizia degli altri, e quindi non realizzando il loro desiderio di felicità: chi non crea il bene non lo riceve, e la sua natura emotiva e razionale rimane insoddisfatta, al di là dei possedimenti o vantaggi accumulati. Un ambiente equilibrato e armonioso per Aristotele è quello in cui ognuno si assume la responsabilità della sua parte di guadagni e oneri, nell’attenzione costante al benessere di tutti, che a sua volta andrà a riflettersi sulla propria felicità personale.

La bontà diretta verso le altre persone è quindi una componente fondamentale della propria felicità. Questo concetto di interconnessione che è tornato così rilevante e presente oggi per tutti noi, era molto chiaro per Aristotele più di 2000 anni fa. I pensatori aristotelici, allora come oggi, vivrebbero in famiglia, si impegnerebbero attivamente nelle loro comunità e userebbero la loro mente razionale per comportarsi in modo etico e perseguire piaceri “sani”, creando felicità per sé stessi e per gli altri.

La creazione di un sistema equilibrato come base per la felicità, tuttavia, non è limitato alle relazioni umane, ma si estende organicamente anche al rapporto con la natura e l’ambiente circostante. Il filosofo greco, infatti, incoraggiava relazioni armoniose non solo tra le persone – che considerava animali meravigliosamente dotati – ma anche tra tutti gli esseri viventi, la Natura e il Cosmo. Figlio di un medico rispettato del tempo, Aristotele non era solo un filosofo, ma anche uno scienziato naturalistico empirico (tra le altre cose), interessato all’aspetto granulare del mondo e affascinato dalla materialità dell’universo percepibile attraverso i nostri sensi. Aveva una consapevolezza luminosa dell’importanza di combinare con amore la nostra natura intellettuale e fisica: a suo avviso la nostra mente razionale (che, a differenza dei suoi predecessori, posizionava nel CUORE) e il nostro corpo, sono uno strumento inseparabile al servizio della verità e della bontà.

Un’applicazione molto semplice di questi principi

Come realizzare tutto ciò? Per Aristotele, i grandi cambiamenti sono il risultato di piccole azioni ripetute. Vi invitiamo quindi ad iniziare con un esercizio molto semplice da applicare ad azioni che ripeterete ogni giorno per, diciamo, un mese. Alla fine di ogni giornata, poi prendetevi qualche minuto per riflettere su come vi siete sentiti mentre compivate quelle azioni e quali sono state le conseguenze sugli altri.

Ogni giorno, quindi scegliete UNA piccola azione che renda felice o più felice qualcuno che vi circonda, tra:

– Qualcosa che non siete abituati a fare e volete iniziare a fare. Ad esempio, iniziare ad esprimere gratitudine verso le persone che hanno fatto qualcosa di buono per voi, come il vostro partner che prepara un pasto, o un collaboratore che vi ha dato un documento ben fatto, ecc.

– Qualcosa che siete abituati a fare e che volete smettere di fare. Ad esempio, protestare quando le cose non vengono fatte ESATTAMENTE nel modo da voi desiderato, smettere di dire “sì ma” quando qualcuno vi dà un’idea, smettere di dire a qualcuno “fai sempre così”, ecc.

Osservate e prendete nota dei risultati!

Se guardiamo in profondità, potremmo scoprire che la felicità, la pace e l’amore sono alla fine le uniche cose che il nostro cuore e la nostra coscienza desiderano ardentemente; e forse, seguendo i passi di Aristotele, possiamo passare dall’essere una versione “ridotta” di noi stessi a una connessione più “alta” con questa verità superiore e così trovare una felicità appagante e duratura.

Ci vediamo fra un mese!

Scritto da Anna Gallotti e Selika Cerofolini

[1] Yuval Noah Harari, Sapiens: A Brief History of Humankind, Vintage Books, 2014.
[2] Edith Hall, Aristotle’s Way: How Ancient Wisdom Can Change Your Life, Penguin, 2019.

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