Introduzione
Quando ho iniziato la mia carriera di coach ho avuto la fortuna di avere un supervisore di fama mondiale, di grandi qualità concettuali e valore umano: Carlo Moiso (1945-2008). Tra le diverse teorie che mi ha insegnato, spicca quella delle “5 i”, che vorrei illustrarvi nei miei articoli mensili per il suo notevole impatto nelle nostre vite di tutti i giorni in campo personale e professionale.
Potete ritrovare le prime due “i” su questo sito nella sezione degli Articoli.
La terza “i”: L’imprescindibilità della fine
Quando iniziamo un’attività, pensiamo raramente alla sua fine. Presi dall’entusiasmo dell’impresa e dalla voglia di riuscire, la nozione di fine ci sembra secondaria e molto lontana.
È solo nel momento in cui la fine di un’attività si palesa o un problema si presenta nella quotidianità, che possono sorgere preoccupazioni: Quale nuovo progetto? La mia azienda mi offrirà una nuova funzione interessante? Quale nuova direzione dare alla mia carriera? Quale nuova vita dopo la mia attività professionale?
Una varietà di attitudini possono manifestarsi nei riguardi della finitudine di ogni cosa e di ogni attività, della finitudine intrinseca alla vita :
- Ignorare la finitudine ed aspettare che arrivi di colpo. Questa forma di rifiuto ha il vantaggio di respingere la questione della fine, ma non la elimina. In questo caso, la fine può presentarsi bruscamente, senza preavviso né preparazione, cose che potrebbero esserci utili.
- Essere angosciati di fronte ad una fine, ponendosi domande per le quali non abbiamo nessun potere né influenza: quando arriverà la fine? Riuscirò in fine?
- Vedere la fine come un’opportunità per trovare un senso a ciò che facciamo.
Quest’ultima attitudine positiva permette di tracciare una linea del tempo tra un inizio e una fine, tra due momenti di vita. Chi dice linea, dice direzione, quindi senso. Possiamo dunque utilizzare la finitudine delle cose per riflettere al senso delle nostre azioni, dei nostri progetti, del nostro lavoro,… Verso quale direzione mi porta tutto questo? PERCHÉ sono in questo lavoro o questa posizione? PERCHÉ sono stato promosso o licenziato? PERCHÉ ho scelto di lasciare questa azienda o di rimanerci? La riflessione su queste domande del senso finale è sempre molto importante, anche se essa è diversa nelle differenti età della vita.
Il “Perché?” a 20-30 anni
I venti-trentenni sono chiamati la generazione “Y”, che si pronuncia Why? in inglese, ovvero “Perché?”. Ciò che infatti importa per loro è la ricerca del “perché?”, facendo la domanda al mondo esterno: “perché devo fare quest’attività o questa azione?”. Il senso viene ricercato all’esterno, presso gli altri e il mondo, ai quali viene chiesto un buon motivo per impegnarsi. Consapevoli degli effetti della disoccupazione e delle difficoltà al lavoro dei loro genitori, è una generazione che non ha più voglia di sacrificare la propria vita personale a causa di quella professionale.
Il “Perché?” a 40-50 anni
A questa età, arriva il momento di cercare il senso dentro di noi. Il “PERCHÉ” diventa “PER CHE COSA?”. Sono gli anni in cui sono considerati il tempo trascorso e il tempo che rimane da vivere. Ne emana un desiderio di impiegare il tempo di vita rimanente, in un modo che ha senso per noi stessi. Il senso non viene solo cercato fuori di noi, nel mondo che ci circonda, ma anche in noi stessi, chiedendoci per che finalità agiamo e vogliamo agire in un determinato modo. La ricerca di un senso profondo può anche accompagnarsi ad una riflessione sulla propria spiritualità, da cui sorge il bisogno di sapere per quale ideale ci si impegna. Sorgono domande come: cosa ho realizzato finora? Per che cosa? In che cosa desidero investire le mie energie per far emergere il meglio di me stesso? E anche: chi sono? Cosa desidero veramente fare del resto della mia vita? In quale ideale desidero investire me stesso?
Il “Perché?” all’età della pensione
È il momento del passaggio verso una nuova vita. Mentre i vincoli professionali o materiali svaniscono, può emergere la voglia di sfruttare questo nuovo momento per realizzare i propri desideri profondi di vita.
Le persone che si saranno poste la domanda del punto di arrivo della loro vita, del senso di questa, e che avranno fatto scelte coerenti con quel punto di arrivo (coltivando dapprima le loro passioni e realizzando già le attività dei loro desideri profondi), avranno molto probabilmente una maggiore capacità di godere di questi momenti.
Per gli altri, che si sono interamente dedicati al lavoro senza porsi la questione del senso della loro vita, il passaggio alla pensione è un momento nel quale ci si rimette in discussione, che può essere traumatico e difficile. Infatti, porsi la domanda del senso tardivamente può provocare il rischio di sentire di aver sprecato il proprio tempo.
Conclusione
Carlo ha esposto la forza della coscienza della 3a “i”, l’imprescindibilità della fine.
Prima ci poniamo la domanda della finitudine di ogni attività, e quindi del senso profondo della nostra vita, e meglio possiamo vivere il momento presente, con la chiara percezione che il nostro cammino ha un senso per noi e che ci porta verso una direzione che ci corrisponde pienamente, e ciò attraverso tutta la vita.
Per aiutarti a trovare del senso nel presente, puoi andare a vedere www.share-coach.com/Lifeline. La linea di vita serve a lavorare sulle proprie scelte, prendere decisioni che hanno un senso, comprendere la direzione della propria vita per mantenerla, riorientarla o cambiarla.