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Le “5 i” – Parte 1: piccole e grandi ingiustizie della vita

ingiustizia

Quando ho iniziato la mia carriera di coach ho avuto la fortuna di avere un supervisore di fama mondiale, di grandi qualità concettuali e valore umano: Carlo Moiso (1945-2008).

Tra le diverse teorie che mi ha insegnato, spicca quella delle “5 i”, che vorrei illustrarvi in questo articolo e in quelli dei prossimi mesi per il suo notevole impatto nelle nostre vite di tutti i giorni in campo personale e professionale.

Questo mese cominciamo con la prima « i »: l’ingiustizia della vita

Carlo diceva che, volenti o nolenti, l’ingiustizia esiste nella vita come un dato di fatto. ll saggio si pone nell’accettazione attiva di fronte all’ingiustizia intrinseca della vita, piuttosto che nella lotta vana con conseguente perdita di energia. Accetta gli elementi su cui sa di non avere presa, non è nel rancore vano, agisce nel presente sugli eventi su cui sa di avere un impatto concreto.

L’inutilità della vendetta

Dan Ariely(1) ci offre un esempio dell’inutilità della lotta contro l’ingiustizia della vita.
Racconta che un giorno conduceva la sua automobile nuova fiammante, che all’improvviso non ha più reagito ai comandi, mettendolo in pericolo di vita. Dopo essere riuscito a raddrizzare la situazione, in stato di choc, ha chiamato il servizio consumatori della ditta automobilistica per segnalare l’incidente e richiedere i soccorsi necessari.

Con grande stupore e rabbia, il servizio gli ha risposto che questo difetto non poteva esistere e che di conseguenza l’incidente era dovuto a una sua colpa oppure era completamente immaginario, per cui sarebbe stato inutile chiedere la rimozione e la riparazione del mezzo!

In questa situazione aveva due scelte: o intraprendere una procedura lunga e incerta contro il fabbricante, oppure trovare una soluzione per fare riparare l’automobile quanto prima e lasciare perdere la procedura.

Gli studi di Dan Ariely dimostrano che l’essere umano è per natura prevalentemente dominato dal sentimento di vendetta a ogni costo in termini di tempo, soldi, pratiche da sbrigare, piuttosto che essere volto alla ricerca della soluzione più vantaggiosa dal punto di vista della razionalità economica. L’uomo ha infatti tendenza a far prevalere la sua sete di vendetta che contribuisce ad alimentare il sentimento di ingiustizia, con effetti talvolta nefasti per lui.

L’inutilità dei rimpianti e dei risentimenti

Oltre al desiderio di vendetta, il sentimento d’ingiustizia può causare rimpianti e risentimenti. È spesso il caso quando un evento esterno arriva a prevenire o interrompere le nostre attese e i nostri desideri. Possiamo poi disperdere molta energia psichica a ruminare con pensieri come “Se non mi avesse fatto questo o quello, avrei ottenuto…” ; “Se non fosse successo quest’altro, sarei potuto diventare…”.

Vendetta, rimpianto, rancore, ruminazioni: tutti li abbiamo provati in certi momenti della nostra vita per poi renderci conto che queste reazioni dispendiose in tempo ed energia, ci mantengono in una situazione di disagio, senza alcun effetto positivo.

La scorciatoia del colpevole esterno e le tre posizioni di fronte all’ingiustizia

Irvin Yalom(2), una delle grandi figure della psichiatria esistenziale negli Stati Uniti, conosciuto dal grande pubblico anche per i suoi romanzi, ha scritto che l’uomo è maggiormente incline a cercare un colpevole esterno -come per esempio le ingiustizie della vita- piuttosto che accettare la propria responsabilità di fronte agli eventi. Siamo d’accordo che in casi come quello descritto nell’esperienza di Dan Ariely, la sfortuna ha un ruolo preponderante, ma anche in queste situazioni è il nostro atteggiamento di fronte agli aventi che fa tutta la differenza.

La nostra responsabilità entra in gioco perché possiamo decidere quale reazione avere:

• Considerarci la vittima che si sente schiacciata dall’accaduto;

Oppure il carnefice che vuole vendicarsi e punire a tutti i costi;

O infine essere attori della nostra vita.

Quest’ultimo atteggiamento è fondamentalmente uno dei più difficili, perché ci costringe a guardare la situazione con lucidità, responsabilità e consapevolezza dell’impatto che abbiamo sul corso della nostra vita, per poi considerare ogni esperienza come fonte di apprendimento e opportunità di andare oltre.

I tre atteggiamenti all’opera

Consideriamo un caso concreto di ingiustizia della vita: un collaboratore che ha meno merito di noi viene promosso e ottiene una posizione a cui avremmo avuto diritto. Di fronte alla notizia, dopo la prima naturale fase di delusione, abbiamo diverse scelte:

• Essere una vittima e passare il tempo a lamentarci “povero me che non ho ottenuto la posizione tanto desiderata”. Ma questa soluzione non è comunque funzionale a farci ottenere la promozione tanto ambita. In compenso rischiamo di dare un’immagine di noi poco lusinghiera e di scarso dinamismo.

• Essere un carnefice: vendicarci sulla persona che ha ottenuto la posizione al nostro posto o su chi l’ha promossa, denigrare le sue competenze, metterle i bastoni tra le ruote… I nostri atti non ci renderanno più felici e non otterremmo in ogni caso la promozione. In compenso, è probabile che i nostri colleghi ci considereranno come una persona di cui diffidare o da temere.

• Essere attore: guardare la situazione in faccia con coraggio e lucidità, chiederci se non abbiamo veramente nessuna responsabilità – nemmeno l’1% – anche in situazioni che consideriamo di avere subíto ingiustamente. È essenziale essere in grado di attribuirci questa responsabilità, perché è la chiave per diventare attori della nostra vita. Infatti, se abbiamo causato una situazione, anche se in piccola parte, abbiamo il potere di cambiarla. Possiamo immaginare il nostro futuro (in questa o in un’altra posizione, in questa o in un’altra azienda) con piena responsabilità e potere di azione.

Conclusioni

Tutti noi viaggiamo in ognuno dei tre atteggiamenti con tempistiche diverse. La via della responsabilità e dell’azione consapevole è certamente la più difficile da imparare e mettere in pratica.

Tuttavia, sosteneva Carlo Moiso, la differenza tra un uomo felice e un uomo infelice è che l’uomo felice si rende conto rapidamente che sta spendendo la sua energia inutilmente perché è caduto nella trappola di una “i”, come in questo caso il sentimento di ingiustizia, e di conseguenza si dà la possibilità di cambiare atteggiamento e agire sentendosi responsabile.

Dan Ariely, The Upside of Irrationality, p. 131ss

Irvin Yalom, Existential Psychotherapy (solo in Americano). I romanzi in italiano: Le lacrime di Nietzsche, Il problema Spinoza, La cura Schopenhauer.

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