Giudice o parte in causa? Come liberarsi dei propri pregiudizi per agire con pertinenza nelle situazioni difficili
Una storia vera
Di recente ho tenuto una sessione di supervisione a uno dei miei colleghi. Per allenarsi è stato il mio coach in una sessione di coaching. In veste di supervisore, preferisco trattare di un caso reale affinché la persona in supervisione possa praticare su questioni che mi stanno a cuore, come se io fossi un vero e proprio cliente.
In questo caso, gli ho presentato un caso di coaching complesso in cui si mescolano giochi politici molto intricati, comportamenti manageriali controversi e la mancanza di presa di decisione da parte della direzione aziendale.
Alla fine della sessione di coaching, nella mia veste di supervisore, ho dato un feedback al coach sulla sua sessione con me. Gli ho espresso la mia perplessità poiché avevo sentito da parte sua un freno che gli impediva di esprimere il suo pensiero visto che con le sue domande aveva “girato intorno al problema”. Gli ho chiesto che cosa pensasse veramente di me in questa situazione. Tutto imbarazzato ha detto: “Sento che giudichi le persone e la situazione, ero imbarazzato a dirtelo perché ho grande rispetto per te, ma non sei affatto neutra nella tua posizione di coach”. Mi ha fatto l’effetto di una porta in faccia! Ma gli ho detto che è esattamente quello che avrebbe dovuto sollevare durante la sessione di coaching perché il nodo del mio problema era lì: ero così dentro nella situazione che non avevo nemmeno visto fino a che punto io la giudicassi. In realtà, questo è ciò che mi ha fatto male: il fatto di rendermi conto che non avevo visto l’effetto di questo mio giudicare sulle mie azioni, malgrado la mia esperienza ventennale in qualità di coach! Ma dove fa male è dove sta la verità …
Come ho trovato una soluzione
Per coincidenza, avevo un appuntamento con il cliente il giorno stesso. Messo il mio orgoglio da parte, ho seriamente pensato a come liberarmi dai giudizi per vedere la situazione con chiarezza e fornire l’assistenza necessaria per il mio cliente.
Dopo aver girato e rigirato la questione in tutti i modi, mi sono resa conto che non potevo liberarmene. È come quando diciamo “evita di pensare all’elefante rosa” e, naturalmente, pensiamo solo all’elefante rosa!
Sulla base di questa osservazione, ho fatto un esercizio mentale che ho imparato leggendo i libri di Giorgio Nardone[1], uno ricercatori più importanti nella terapia sistemica: invece di evitare un’azione o un pensiero, bisogna ingrandirli, spingerli ai loro estremi. Così ho cominciato a giudicare ancora di più la situazione e le persone, per farli diventare così importanti che sono diventati ancora più chiari nella mia mente, come quando sviluppiamo le vecchie foto che diventano gradualmente nitide sotto l’azione degli agenti chimici. Poi ho valutato questi giudizi e, grazie al fatto che erano così chiari, ho potuto prenderne le distanze, come quando si mangia un dolce troppo dolce che diventa stucchevole. Alla fine, ero sempre in una posizione di giudizio, ma con questo stratagemma non ero più sopraffatta dalle mie emozioni.
Risultato: durante il mio appuntamento, ben consapevole dei miei giudizi e del pericolo che avrebbero potuto rappresentare nella mia posizione di coach, sono riuscita a mantenere una posizione neutrale e a esprimere i miei pensieri in modo appropriato alla situazione.
I giudizi sono radicati in noi
Ognuno di noi giudica e prova emozioni più o meno forti. Il giudizio costituisce un’utile scorciatoia mentale per prendere decisioni rapidamente. L’uomo delle caverne era obbligato a giudicare rapidamente se un animale o di un altro uomo fossero pericolosi per decidere in un battibaleno se fuggire o attaccare. I nostri giudizi sono radicati in noi poiché servono a proteggerci e preservarci. Sarebbe disumano dire che siamo “senza giudizi”. Con l’evoluzione, nella nostra corteccia prefrontale abbiamo sviluppato una serie di abilità cognitive che ci permettono di superare i nostri “istinti di giudizio.”
Il processo cognitivo che ci permette di distanziarci dal giudicare
In sintesi, processo cognitivo che vi invito a realizzare per gestire i nostri giudizi è il seguente:
1 / Tappa fondamentale: avere il sano dubbio di giudicare una persona o una situazione in modo inappropriato alla situazione. Nel mio caso, ho avuto il buon senso di parlare di questo caso nella supervisione e ricevere il difficile feedback. Sentivo che c’era qualcosa di sbagliato in me. Se non avessi avuto la possibilità di farmi fare questo coaching, ero pienamente cosciente che avrei dovuto parlare con qualcuno che fosse al di fuori della mia situazione. Ma senza la scintilla del dubbio non avrei avuto questo riflesso di condivisione e avrei incorso il rischio di fare con il mio cliente.
2 / Una volta che mi sono resa conto dei miei giudizi, ho fatto l’esercizio di Giorgio Nardone: amplificare i giudizi per osservarli da vicino e in tutta la loro assurdità nella mia situazione. Ho cosi creato una sorta di cartello “ATTENZIONE!” mentale che è stato il mio guardiano di fronte al mio giudicare.
3 / Come risultato, sono riuscita a prendere le distanze emotivamente e ad agire in modo appropriato alla situazione.
Accettiamoci così come siamo e utilizziamo le nostre capacità cognitive per fare del nostro meglio con i nostri giudizi.
[1] Vi invito a leggere i libri seguenti: “Cavalcare la propria tigre”, “Psicosoluzioni: risolvere rapidamente complicati problemi umani”.